Nelle conversazioni che sto intrattenendo con i miei clienti (tra i quali alcune PMI) si parla sempre più spesso di Cassa Integrazione. E ne sento parlare con emozione e fatica perché implica il decidere chi rimane in azienda e chi – per un periodo – ne sarà estromesso, coinvolgendo le persone con le quali si è lavorato fianco a fianco per anni. E’ naturale e comprensibile che tutto questo generi in azienda tensioni e incomprensioni, conflitti e polarizzazioni che tendono a frammentare l’ordito relazionale in “parti contrapposte” (es: i dirigenti, i collaboratori in Cig e i collaboratori attivi).
Noi esseri umani – di fronte al conflitto, alla contrapposizione o quando ci sentiamo attaccati e giudicati – tendiamo istintivamente a “chiuderci in difesa”, ad arroccarci sulle nostre posizioni di parte e a cristallizzarci sui nostri soggettivi (e per forza di cose parziali) punti di vista sulla questione. Dal virus biologico esterno si innesca così la diffusione di un virus relazionale all’interno dell’organizzazione, ma a differenza del primo – per il quale un vaccino ancora non c’è – per il secondo possediamo già un antidoto: il dialogo, la comunicazione non violenta e la trasparenza.
Ovvero aiutare le parti in causa – chi è ancora attivo, chi è in cassa integrazione, la dirigenza – a percepirsi non come controparti ma come soggetti con un significativo interesse comune: proteggere il proprio lavoro e garantire – a beneficio di tutti – la sopravvivenza dell’azienda. La chiave è sostenere un dialogo aperto, trasparente e chiarificatore con tutti i soggetti interessati comunicando e facendo chiarezza sui criteri adottati circa la distribuzione della Cassa Integrazione tra i collaboratori. Se la polarizzazione dei punti di vista dipende dallo sguardo soggettivo e parziale che ognuno si costruisce sulla situazione, fare chiarezza aiutando la popolazione aziendale a prendere coscienza di tutti gli aspetti del problema aiuta a salvaguardare l’unità e la tenuta di quel tessuto relazionale che sarà fondamentale per ripartire: ci sono regole dettate dalla legislazione, ci possono essere ruoli e talenti che diventano più strategici di altri nel proteggere l’azienda in un momento di emergenza, chi resta in attività non è solo più fortunato o privilegiato ma anche chi si assume la fatica di tenere in piedi l’organizzazione anche per chi è temporaneamente a casa, la Cig può essere percepita psicologicamente come “un’espulsione dal campo” ma anche come uno strumento di protezione del proprio posto di lavoro, chi resta può sentirsi in colpa verso il compagno di scrivania ma anche motivato a mantenere la posizione proprio perché lui/lei possa rientrare al più presto.
In un contesto eccezionale come quello che stiamo vivendo ciò che può tenerci in piedi e uniti nell’organizzazione non è l’attaccarci alla convinzione di avere singolarmente ragione – perché tutti avranno le loro sacrosante ragioni – ma il fare leva su una comune e lucida comprensione della realtà della situazione, valutata da tutti i punti di vista. E in questo processo di dialogo sentirci tutti accolti e compresi nei nostri umani stati d’animo.
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